Lo scotano è una pianta sconosciuta ai più, ma nota a chi realizza inchiostri per calligrafia artigianalmente e, ovviamente, a chi ha conoscenze storiche di conceria o arte amanuense.
Personalmente, ho scoperto le qualità dello scotano anni fa, quasi un lustro ormai: sulla scorta di studi su antiche ricette per realizzare il ferrogallico ho incontrato più volte suggerimenti per utilizzare, oltre alle indispensabili galle di quercia, senza le quali non avremmo un inchiostro stabile e duraturo, anche altre fonti di tannino. Tra queste, le bucce di melograno e le cortecce di alcune piante, le cupole di ghianda e le foglie di alcune betulacee, ma soprattutto lo scotano.

Un inchiostro con lo scotano

A differenza delle altre componenti, che in piccola parte possono influenzare positivamente la resa del ferrogallico, lo scotano ha un altro peso. E se ne sono accorti, da qualche tempo, anche altri nel mondo della calligrafia (pochi, a dire il vero; ma buoni). Uno, non a caso (e non alle prime armi), è Ernesto Casciato, vecchio amico e maestro che ha realizzato un inchiostro ferro tannico con foglie di scotano (senza galle di quercia) e guardate che risultati. Esperienza che il Maestro ci ha fatto anche vivere in prima persona, sporcandoci le mani in quel di Gubbio, in un laboratorio pratico per realizzare inchiostri handmade più unico che raro, in Italia.

L’esperienza di Gubbio con il maestro Ernesto Casciato

Inchiostri ne utilizziamo ogni giorno, e chissà quante volte ci siamo chiesti come si realizzano, da cosa sono composti, quanti sono e che storia hanno alle spalle questi elementi senza i quali non ci sarebbe calligrafia. E se non ce lo siamo chiesto, se ci piace fare calligrafia, è ora di farlo: un pizzaiolo dovrebbe conoscere l’origine degli ingredienti per la pizza come un allevatore sa cosa dà da mangiare ai suoi animali. Allo stesso modo un calligrafo non dovrebbe ignorare il materiale che utilizza, perché – anche se lo strumento migliore è il sovrammanico – carte e penna e soprattutto inchiostro possono dire la loro su buona parte di un risultato. L’ho imparato a mie spese, con un’esperienza lunga anni.
Quindi, come si fa un inchiostro? Può sembrare strano, ma queste risposte non sono così facili da trovare, nonostante siano l’ABC per chi voglia fare bella scrittura e nonostante ci siano voluti secoli per mettere a punto questi composti.
Credetemi, io ho impiegato anni tra biblioteche e laboratori per raccogliere una bibliografia e un’esperienza sufficienti a capirne qualcosa, di inchiostri. Pochi giorni fa, però, ho avuto la fortuna di avere a disposizione per due giorni chi questi studi li fa da trent’anni, per un laboratorio dove imparare a realizzare gli inchiostri e cucinarli con le nostre mani. Mani che si sono sporcate, eccome, ovviamente. Ferite di guerra, le ha definite il Maestro. Come dargli torto.

Il maestro Ernesto Casciato è stato a Gubbio l’11 e 12 giugno 2022 per un corso organizzato da UnaLuna Arte del Libro dal titolo “Calligrafia – strumenti e inchiostri dell’antica bellezza scritta”. Abbiamo realizzato con le nostre mani inchiostri dal nerofumo al mallo di noce al ferrogallico, poi penne d’oca e calami; macerato scotano e galle, dosato solfato ferroso e gomma arabica, ma anche campeggio, cocciniglia e zafferanone. Tra pentoloni e bilance, allume di rocca e cremor tartaro, elementi chimici e carte, canne di bambù e penne di volatile, ci siamo portati a casa una vera esperienza pratica, di quelle che avrei voluto anni fa, di quelle che non se ne trovano in Italia. Di quelle che ti lasciano le dita macchiate per mesi e litri di inchiostri neri, marroni, blu, rossi e di altri colori che profumano e hanno quel valore aggiunto di essere nati dalle tue mani. Nessun prodotto commerciale ti darà più soddisfazione dell’inchiostro che cucini per ore.

Il ferrogallico con lo scotano

La reazione che sta alla base del ferrogallico vede varie fonti di tannini naturali reagire con sali di ferro. Il solfato ferroso, protagonista della reazione con i tannini, è un sale ternario conosciuto fin dall’antichità con il nome di vetriolo o copparosa verde, dagli alchimisti arabi fu ottenuto facendo reagire il ferro con l’acido solforico.
I tannini, in questo caso, in caso di ferrogallico di scotano (chiamiamolo, se vogliamo scotanoferrico, il buon Casciato apprezzerà :D), non provengono dalle galle, che con l’acido gallico danno il gallato ferroso in fase di reazione, ma dalle foglie di scotano. Un inchiostro meno acido, più limpido, con meno residuo del ferrogallico; certo, in qualità e persistenza non ancora al livello del primo, ma compatibile con un cecidioferrico sotto molti punti di vista.

Nella conciatura tradizionale del pellame, questo vantaggio dello scotano sulla quercia lo conoscevano già nel medioevo.

scotano

Lo scotano e le sue caratteristiche

Il Rhus cotinus, chiamato volgarmente scotano o sommacco, è una pianta appartenente alla famiglia delle anacardiaceae. Il termine Rhus deriva dal celtico Rhus, rosso, e già l’etimologia la dice lunga sul colore autunnale di tutte le specie del genere. Oggi il Sommaco è un arbusto decorativo di parchi e giardini, grazie alle sue bellissime tinte novembrine, la sua chioma alta e leggera.

Dove si trova

Si tratta di una specie indigena degli Appennini centro meridionali, spontanea su suolo calcareo, che si spinge fin quasi ai mille metri, nota già a Plinio il vecchio (nel I D.C.), con forma di cespuglio, foglie semplici ovali arrotondate, glabre, profumate di cedro se stropicciate. In tarda primavera ha fiori biancastri in pannocchia con peduncoli filiformi, capillari, dall’aspetto di una parrucca o di un velo arruffato che gli è valso l’appellativo di albero nebbia.
In erbari medico galenici del Seicento lo si dà molto diffuso anche tra Lombardia e Trevigiano. In realtà, oggi lo si incontra dalle Canarie all’Afghanistan, nelle sue diverse specie. Di sicuro, dalle mie parti, lo si trova facilmente dal monte Cucco ai Sibillini piceni.

Cosa ci si fa

Nell’antichità le drupe di questo arbusto erano note in medicina per le virtù astringenti e rinfrescanti e il decotto delle radici giovava ai calcoli renali. Il legno duro e compatto era usato dagli ebanisti per liuti e violini, mentre le radici e la corteccia erano usate dai tintori per preparare i tessuti a trattenere le tinte. Infatti lo scotano è anche pianta tintoria: la corteccia del fusto tinge in giallo, quella delle radici in bruno. E la corteccia incisa trasuda una resina dalle proprietà simili alla gomma arabica (ma in quantità minima, per quanto ho potuto sperimentare io).

Quanto tannino?

Tutte le parti di quest’albero, soprattutto le foglie, sono ricche di acido tannico, e questo ci interessa. Le due specie Rhus cotinus (Scotano) e Rhus coriaria (Rhus de’ cuojari) sono quelle più ricche di tannino.
L’industria della concia delle pelli, già dal Trecento, nell’entroterra marchigiano, ne ha fatto uso in virtù della maggiore reperibilità ed economicità rispetto alle galle di quercia. Dal Seicento, con l’aumento di richiesta di materiale conciante, oltre alla raccolta di materiale spontaneo sorsero le prime scotanare tra i fiumi Chienti e Potenza. Terreni aridi e calcarei, ricchi di calce, inclinati ed esposti ne hanno favorito la coltivazione. Poi, agli inizi del XX secolo, con l’introduzione della concia minerale al cromo e al ferro, i tannini vennero sostituiti. È raro trovare, nell’entroterra marchigiano, paese senza toponimo “conce” in qualche zona del centro.

Le scotanare

Le scotanare, secoli fa, erano un ottimo investimento: la pianta quasi non richiede attenzioni e cresce e si moltiplica rigogliosa.
Nella concia medievale le pelli erano immerse in bagni di acqua e sostanze tanniniche per impedirne l’imputridimento e aumentarne la morbidezza; prima ancora si immergevano negli stagni dei boschi di querce. La sostituzione con le foglie di scotano alle cortecce di quercia impedì l’abbattimento massivo di piante così imponenti e longeve. Il potere conciante delle foglie di scotano è tale che in dodici ore si concia una pelle di ovino e in una settimana quella di un bovino (la quercia ci metterebbe quattro mesi).

Per quello che serve a noi, bastano poche foglie: in purezza ci stupiranno, combinate alle galle nel ferrogallico lo esalteranno.

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