La penna d’oca è lo strumento principe della calligrafia. Non c’è pennino o altro attrezzo per scrivere più o meno moderno che, nelle scritture storiche, possa competere in termini di divertimento e risultati con la penna di volatile. Ecco perché per secoli non s’è cercata un’alternativa alla penna, fino alla rivoluzione industriale: era già uno strumento perfetto per scrivere, economico, flessibile, personalizzabile, performante. E ancora oggi è così.

Penna d’oca: da dove arriva e dove si trova

In principio era il calamo. Al principio della scrittura calligrafica libraria, almeno, perché prima della penna si è scritto con le dita (preistoria), con lo stilo (cuneiforme), con i pennelli e gli scalpelli (geroglifici e scritture lapidarie) e infine con le cannucce di bambù (i calami), per sintetizzare diversi secoli in due righe (in questa dispensa di calligrafia lo racconto un po’ meglio). Ma dopo il passaggio alle penne di volatile non è stato facile, per la loro economicità e versatilità, trovare un sostituto. Ecco perché le penne d’oca sono durate per secoli, nella storia della scrittura.

La penna di volatile, perlopiù, era di oca, per la facilità di reperimento e la buona qualità del materiale, ma molti altri pennuti hanno servito bene la causa nei secoli di calligrafia. Cigni e tacchini hanno fornito nella storia ottime penne, ma anche l’anatra e il corvo hanno servito gli amanuensi con onestà, così come anche la cornacchia, a volte. Ma oca e tacchino – questo secondo dalle penne più dure e meno grasse – ancora oggi sono i riferimenti essenziali per chi voglia fare calligrafia con la penna di volatile. La storia l’ha dimostrato e a verificarlo basta poco.

Sono nato e cresciuto in campagna, trovare allevatori di oche, nelle mie terre, è abbastanza comune. In estate, ogni anno, quando i volatili cambiano la muta, chiedo di tenermi da parte le penne, che altrimenti butterebbero via; non sto a specificare che mi servono le remiganti, quali e quante siano: ogni volta il mio allevatore di fiducia mi lascia un sacco di juta da 50kg di capacità pieno di penne, poi faccio io la selezione. Qualche decina di buone remiganti la trovo sempre.

Quest’anno, complice la lunga estate, finalmente anche abbastanza ricca di appuntamenti medievali, e il buon raccolto di penne dello scorso anno, ho fatto un po’ di pratica nel preparare e temperare le penne per scrivere. Poi, oltre i manuali che mi sono studiato, al Festival del Medioevo di Gubbio ho assillato due ottimi maestri – Ernesto Casciato e Ivano Ziggiotti – per carpire dal vivo i segreti della preparazione della penna e rubare con gli occhi come si tempera una penna d’oca come Dio comanda.
penne d'oca

Cos’è la penna d’oca?

La penna d’oca è lo strumento durato più a lungo nella storia della scrittura. Parliamo di secoli; ci sarà un perché.
Molto più flessibile del calamo e resistente al ferrogallico – a differenza dei pennini metallici di oggi, che ne soffrono l’acidità – può essere tagliata tanto sottile quanto vogliamo per ottenere corpi lettera minuscoli, come quelli nei testi che troviamo nei libri antichi e nei documenti medievali.
Le penne – che non sono le piume, corte e morbide che ricoprono il corpo dell’oca – si trovano sulle ali dell’animale. Le ultime cinque, le più lunghe, terminanti a punta e leggermente curve, sono dette remiganti e sono le migliori per scrivere. Quelle dell’ala destra per i mancini e quella della sinistra per i destrorsi.
Sicuramente anche nel Medioevo, forse anche prima, avevano sperimentato l’uso di strumenti metallici per scrivere, ma la penna di volatile era molto più economica, flessibile, adattabile a qualsiasi scrittura e facilmente modulabile nelle dimensioni del taglio, inoltre molto più resistente agli inchiostri acidi del tempo. La sua componente grassa la rende infatti immune all’aggressività ferrogallico, e la combinazione inchiostro gallotannato (acido) – penna d’oca (grassa) – pergamena (basica) ha creato la combinazione perfetta di strumenti e materiali che per secoli non ha conosciuto declino né modifiche.

La penna di volatile per scrivere. Chi ci aiuta?

arrighi penna ocaCi sono diversi buoni testi e un’infinità di risorse online che insegnano a preparare e temperare una penna d’oca per scrivere. La pietra miliare è Il modo de temperare le penne con le varie sorti de littere ordinato, opera del 1523 di Ludovico degli Arrighi detto Il Vicentino, che qui non devo presentare a nessuno (ma solo ricordare che nel 2022 ricorrono i 500 anni dalla pubblicazione de La Operina, teniamo d’occhio Vicenza). Writing & Illuminating & Lettering di Edward Johnston, poi, come punto fermo nella contemporaneità. Ma anche Donald Jackson, nel suo La scrittura nei secoli è molto dettagliato, così come Judy Martin in Guida alla calligrafia, con tanto di foto del processo per un tutorial di quando ancora non c’era YouTube.

Mentre su YouTube, oggi che c’è, guardatevi il tutorial di Ernesto Casciato (incorporato alla fine di questo pezzo), che di penne d’oca parla anche nel suo libro Calligrafia. Evoluzione e futuro della bellezza scritta. Un ottimo step by step ce lo dà anche Ivano Ziggiotti dal Manuale di Calligrafia dell’Aci, e questi ultimi due titoli ci dimostrano quanto, anche nel XXI secolo, ci sia interesse a scrivere come nel Medioevo, sia dal punto di vista degli strumenti che dei materiali. Ma di ferrogallico, pergamena, carta a mano e pigmenti non parliamo più, ora. Pensiamo alla penna.

Preparare la penna all’uso

La penna, prelevata dal volatile, non è pronta per scrivere. Essendo materiale organico, necessita di qualche accorgimento, prima di essere intagliata.
Anzitutto non bisogna strapparla all’animale vivo; certo, per non maltrattarlo, ma soprattutto perché non sarebbe matura. Lo sarà quando cadrà naturalmente all’oca, ossia al cambio della muta, e a quel punto la si raccoglie da terra.

La penna di volatile va poi sgrassata, prima di renderla adatta all’uso. Non dimentichiamo che l’oca è un animale acquatico e le sue penne sono impermeabili, nella parte del calamo che servirà a noi per scrivere. Un’essiccazione rapida consiste nell’utilizzare il calore: si mantiene la penna vicino a un fuoco, oppure la si bagna e una volta asciutta si immerge in una bacinella di sabbia calda (circa 60°) finché non si indurisce e il calamo cambia colore, da bianco a trasparente. Tuttavia, la penna così essiccata diventa molto fragile e tende facilmente a perdere elasticità. Per non parlare della difficoltà dell’operazione, dove pochi secondi in più o in meno fanno la differenza. Preferibile, se possibile, prepararla tramite essiccazione naturale, lasciando le penne asciugare all’aria in ambiente asciutto e ventilato per alcuni mesi (da sei a dodici). Nel mio caso, ogni estate utilizzo le penne dell’estate precedente, lasciate un anno ad invecchiare, ormai pronte a fare il loro lavoro.

taglio penna oca

Temperare la penna d’oca

Una volta che la penna è essiccata, si può temperare. Questa procedura non è semplicissima e richiede un po’ di esperienza. Qua sotto faccio una breve sintesi dell’operazione e incorporo un filmato in cui il maestro Casciato dà una dimostrazione del taglio della penna per farsi un’idea dei movimenti da eseguire, ma il miglior consiglio è quello di fare pratica.

Il taglierino

Per temperare la penna d’oca si usa un temperino, cioè un piccolo coltello dal manico lungo e dalla lama corta. Poi, nell’uso e nel lessico comune, il temperino è diventato anche quello strumento a forma di mattoncino con buco e lama per le matite, ma in origine era un taglierino. Importante che sia molto sottile, affilato, dalla lama a un sol taglio e terminante a punta.
Il temperino ben affilato, se lo proviamo su una nostra unghia (fatta di cheratina, come le penne del volatile), dovrebbe asportare lo strato superficiale. Ma voi a casa non fatelo, queste sono manovre che ho visto fare da professionisti estremamente pericolose per chi è alle prime armi.
Un buon temperino non è così facile da trovare, per le vostre prove potete accontentarvi anche di un bisturi o di un buon taglierino, mentre cercate questo attrezzo vintage sui banchi dei mercatini di antiquariato.

Il primo passo per preparare la penna è accorciarla in altezza. Basta decidere quanto vogliamo lunga la nostra penna (intera è sicuramente troppo), posizionarsi in quel punto e tagliare.

Le barbe vanno rasate, dimenticate i lunghi vessilli visti nei film e il romanticismo dell’immaginario comune della penna svolazzante, che la vuole come spesso la vediamo in stucchevoli souvenir turistici nei musei. La penna per scrivere è uno strumento agile, affusolato, corto ed estremamente semplice. Non conviene mantenere le barbe nel rachide per almeno due motivi: il primo è la loro resistenza all’aria, che ci farebbe scrivere come se avessimo in mano una bandiera; il secondo è l’ergonomicità, poiché appoggiandosi la penna nell’incavo della mano tra pollice e indice (la presa è tridigitale, come con qualsiasi altra penna moderna) senza rasare il vessillo il piumaggio urterebbe contro l’articolazione dell’indice.
Se proprio vogliamo, possiamo lasciare un piccolo residuo delle barbe per vezzo, ma anche per ricordare da quale animale provenga la penna (oca, tacchino e altri hanno colori diversi). Nel Medioevo questo residuo di barba era anche utile per pulir via dal foglio i residui di pergamena raschiata in caso di errore o altra piccola sporcizia potesse depositarsi sulla superficie scrivente senza doverla così toccare con le mani.

I due tagli

Quindi si esegue il primo taglio, noto anche come grande apertura. La parte finale della penna, il calamo, va sagomata obliquamente, verso la punta. Non c’è un punto esatto dove iniziare questo taglio, ma dobbiamo garantirci una lunghezza sufficiente per fare poi la punta (un paio di centimetri dovrebbe bastare, o possiamo calcolare tre volte la larghezza del calamo e riportarla in lunghezza). Eseguire questo taglio mantenendo la pancia della penna verso l’alto. Dall’apertura nel calamo appena creata si può svuotare il rachide del midollo interno, semplicemente tirandolo via. Un buon trucco per migliorare la ritenzione dell’inchiostro della superficie è passare della carta vetrata sottile sia all’esterno che all’interno del calamo.

Questo è il momento di fare la punta alla penna, con il secondo taglio, anch’esso obliquo. I lati del taglio vanno pareggiati finché l’estremità non risulti leggermente superiore alla larghezza desiderata della punta. Quindi la fenditura, il movimento più delicato dell’intero processo, da eseguire con cautela per evitare che sia troppo lunga. Si esegue un taglio in cima, al centro del calamo, impugnando la penna in verticale e spostando il temperino delicatamente verso l’alto, allentando la pressione non appena si forma la spaccatura che servirà a far scorrere l’inchiostro.

Infine la sagomatura finale: da un lato e dall’altro rimuovere col temperino l’abbondanza dal calamo rispetto alla dimensione della punta che vogliamo, rastremando con un leggero movimento rotatorio che segua la circonferenza del calamo. Questa manovra si esegue con la punta rivolta in basso e la penna verso l’alto, o anche con la punta verso l’esterno e la penna orizzontale; tuttavia sarebbe più corretto guardare l’interno del calamo (quindi avere la penna orizzontale rivolta verso di noi) e tagliare venendoci incontro con il temperino frenato dai nostri polpastrelli, ma per il discorso di prima dei tagli e dei professionisti ve lo sconsiglio.
Da ultimo, posizionare la penna con la punta rivolta verso il basso, appoggiata su una superficie liscia e dura (ho visto usare l’ebano, ma va bene anche un righello o un pezzo di plexiglas), e con il temperino recidere in maniera netta dall’alto verso il basso, con la lama perpendicolare e leggermente obliqua rispetto alla fenditura.

Vi garantisco che è più semplice da fare che da spiegare. Armatevi di buona pazienza, qualche decina di penne e seguite le istruzioni nel video qua sotto: vedrete che soddisfazione, scrivere con la vostra penna.

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