Fast forward successe il 18 settembre 2010. Erano dieci anni fa. Fast forward è stata una storia di writing.

Fast forward è stata una jam nel pieno senso del termine. Quello della Golden age. Chi l’avrebbe creduto. Fast forward è diventata, poi, anche un’associazione di amici, durata quanto la nostra permanenza in quella vita e in quella città, ma abbastanza da fare seguire alla versione 0.1 la 1.0 (RE:Life, 2011), la 2.0 (La fine?, 2012), la 3.0 (ReAzione, 2013), e anche un rewind (2014).

Per me che, in quegli anni, vagavo ramingo tra una fuga nottetempo da anni di permanenza in Ancona e un salto nel buio verso Fabriano, è stata anche una boccata d’ossigeno in quella che è stata, è e rimarrà casa mia.

Fast forward è stata un’esperienza documentata durata anni, anni di pittura, esposizioni, progetti, chilometri, incontri, sbornie, musica, trasferte, carzolà, risate e conflitti. Ma poi, come tutte le tracce che lasciamo in questa epoca di evanescenti passi leggeri tra oblio e indifferenza, quell’esperienza è prima finita poi scomparsa.

Ecco, per non dimenticare quella storia, che ci ha accompagnato per tutto il primo lustro del vecchio decennio, e per tributarle il giusto onore già che un progetto del genere a Sanseverino non si vedeva dai tempi della vecchia guardia e per molti anni dopo di noi non si sarebbe più visto, lo riporto in vita qua. Come altre belle esperienze settempedane a cavallo tra i millenni con questa collegate (come Ultime Forze Rimaste, per dirne una). Perché, come anche nella storia della scrittura, d’altra parte, niente nasce dal niente.

Calligrafia e graffiti. Calligraffiti

Nel 2010 studiavo calligrafia già da qualche anno. Venivo dal writing, e nella calligrafia, abbandonata quella strada che non mi avrebbe portato da nessuna parte visto il mio passo stanchissimo, avevo visto la naturale evoluzione dello stile. Percorso che oggi sembra abbiano intrapreso in tanti.

Il mio primo corso di calligrafia lo frequentai nel 2008, il docente era un giovanissimo Luca Barcellona e io avevo barba e capelli neri, ancora. Anche Luca Barcellona. In quei primi anni di studio, pur essendo partito dalla Cancelleresca, era con la calligrafia gotica che stavo in fissa. Era l’occasione buona per mettere assieme le esperienze: calligrafia e graffiti. Calligraffiti, per dirla in una parola. A Fast forward impugnai pennelli piatti come fossero pennini tronchi e vergai un pezzo di Hagakure in gotica quadrata acerba e ancora intrisa di writing, tra pezzi e tag. Le tag di dieci anni fa, quelle senza @.

Fast forward. L’abbiamo fatta grossa

Dieci anni dopo, l’editoriale con cui ci presentammo. Lo trascrivo integralmente, mi piaceva come scrivevo da ragazzo, quando ancora sognavo di fare il giornalista, prima che le tecniche di SEO e la solitudine digitale mi risucchiassero ogni creatività.

L’abbiamo fatta grossa.
Grossa perché abbiamo pensato in grande, forse troppo in grande per la realtà in cui ci muoviamo, ma se non pensi un metro oltre il limite del pensiero non vai da nessuna parte. Grossa perché un evento del genere a Sanseverino – che non è Roma, ma neanche Civitanova o Jesi o Macerata, senza scomodare le metropoli, che happening del genere era rimasta la vallata del Potenza a non conoscerne – non s’è mai visto. Grossa perché siamo partiti da una passione e ci abbiamo costruito sopra una manifestazione senza avere un soldo e con un sostegno, morale ed economico, figlio della depressione su cui abbiamo investito.
Ecco, abbiamo investito. C’abbiamo creduto e ci siamo riusciti ad aggregare la voglia di fare di tanti ragazzi, settempedani e non, che al lamentarsi del deserto sociale che li circonda hanno preferito dare e darsi una scossa. E con un entusiasmo che è stato la migliore risposta al ritornello “qua non si fa mai nulla”. Certo, non sarà FFWD a cambiare quel nulla che se tanto si ripete un motivo ci sarà, ma siamo la dimostrazione che con pochi mezzi e tanta passione anche a Sanseverino può esserci uno spazio di libera espressione e manifestazione per fotografi, illustratori, writer, artisti e artigiani di strada, designer, dj e musicisti.
Tirando su un’organizzazione che ha messo a confronto gente dai 20 ai 40 anni – e già questo è un successo relazionale che le istituzioni si sognano -, che a sua volta ha precettato il meglio della produzione artistica locale con esiti centopercento positivi (a corrispettivo economico nullo, sottolineiamolo ancora, perché non tutti e tutto il cash rules), FFWD è nato essenzialmente come progetto per sviluppare arte e musica in un contesto che spesso tende a reprimerle. Quindi si parla di musica elettronica – downbeat, lounge, minimal, techno e via via tutte le contaminazioni che offre – e di writing, inteso come forma d’arte che si allontana dal suo lato illegale per mostrarsi nella sua veste creativa carica di potenza espressiva. A tanto abbiamo aggiunto esposizioni di qualsiasi tipo (fotografia, illustrazione, pittura…), installazioni, video art, artigianato artistico e autoproduzioni.
E questa è solo l’edizione zero punto uno. Tutto in una giornata, da presto a tardi, per una full immersion nella Sanseverino sotterranea che ha tanto da mostrare – e da insegnare, umanamente parlando – a chi alla luce del sole ha sempre avuto occhi solo per se stesso.
Questa è l’occasione per allargare un po’ lo sguardo. Buon nuovo orizzonte.
FFWDprod

Tra gli sponsor di quell’evento, di cui siamo andati fieri un bel po’ per la fiducia accordataci e per avere sposato il nostro progetto, Distilleria Varnelli, Accademia delle Belle Arti di Macerata, Combo Cove e Graffiti Shop. Che nomi.
Poi, già che ci siamo, anche il reportage di avanzamento; sempre di mano mia. Lascio qua sotto solo il link, leggetelo su issuu, sono parecchie pagine non meno intense dell’editoriale ma è lunga da raccontare tutta qui. Tuttavia i miei fini archivistici sono dichiarati da un pezzo, questo caso non fa eccezione. Pubblicato non appena siamo stati in grado di elaborare la situazione e capire che l’avevamo fatta grossa. Come promesso, d’altronde.

FFWD. Reportage d’avanzamento

Fast forward. L’epilogo

Per qualche anno, il sito dell’associazione e dell’evento è stato animato di eventi e contributi sul tema. Lo curavo io, ci tenevo, e coi miei soci ne abbiamo organizzate di manifestazioni, da mostre a contest, da jam a eventi di volontariato.

Poi gli anni passano e le cose cambiano. Chiuso il dominio, fuori dalle memorie di massa per i più nostalgici un bel po’ di quella storia è ancora sui server di Zuckerberg. Una memoria che si è dimostrata molto più robusta sia del web che dei muri, che da progetto dovevano durare un anno per essere riscritti l’anno dopo. I secondi. Il primo, beh, le intenzioni non sono bastate e le previsioni si sono dimostrate sbagliate.

Quelle pareti, un paio di anni dopo, ben altre tragedie hanno ospitato e il palazzetto è diventato il simbolo di una popolazione sfollata.
I miei soci non li vedo né li sento da anni. Credo abbiano fatto strada, nei loro settori. Assieme, una storia che ha lasciato una traccia nella città l’abbiamo fatta. Di sicuro siamo diventati tutti grandi, oggi. Magari i nostri figli, dopodomani, che sono ancora tutti piccoli, se la racconteranno questa storia, mentre ne costruiranno di migliori.

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