Un mio lavoro calligrafico, realizzato un paio di anni fa per riqualificare i bagni pubblici dei giardini di Matelica, è stato coperto da un ragazzino che, alle prime armi, ha realizzato un brutto pezzo sopra il mio calligramma.
writing matelica

Dico a te, regazzi’

Io non tifo per l’immortalità di un’opera, specie se pubblica, né credo che uno spazio in una città possa essere destinato per sempre allo stesso pezzo; è la cultura da cui provengo a insegnarmelo. Quante volte mi hanno coperto un pezzo, quante volte sono passato io sopra altri. Ci sta, gli spazi pubblici a disposizione, nelle nostre città minuscole, sono pochissimi e tutti quelli che vogliono possono e devono avere la possibilità, periodicamente, di utilizzare una parete in vista per dipingere. O disegnare, o colorare con gli spray, o scrivere, o manifestare il proprio pensiero come preferiscono all’interno di regole e nei termini previsti dalla legge.
Ho sempre supportato e, nel mio piccolo, alimentato il fenomeno del writing e tutte le forme artistiche ad esso connesse, fin dagli anni Novanta, senza mai approvare (almeno non esplicitamente) il vandalismo o le attività illegali tese unicamente ad arrecare danno a proprietà pubbliche, private o commerciali.

Tuttavia, prima di coprire un pezzo ad altri, ho chiesto almeno il permesso all’autore, e là dove non era fattibile, a chi gestiva lo spazio. E prima di uscire su un muro in vista, quante prove dentro i garage o negli scantinati o dove nessuno vedesse la mano acerba. Prima di un definitivo quanti sketch.
Pensa, c’erano scazzi già allora se ci si avvicinava troppo a un pezzo altrui col proprio. Non avevamo meglio da fare e ci faceva sentire grandi, o altri, o altrove. Ma senza quell’atteggiarci non ci saremmo conosciuti tra noi in quell’ottica lì, non avremmo dato vita a un movimento, anche se piccolo e locale, che ha permesso oggi a te di prendere due spray e tracciare il tuo nome a lettere grosse e vuote, con un outline un overline un 3D e una tag, su un muro pubblico affacciato sui giardini di Matelica.
Potevi guardare meglio cosa c’era scritto su quel muro, prima di schiacciare il cap, ma sei ancora giovane. Però ascoltami.

Siamo stati tutti ragazzi. Non è mai presto per imparare il rispetto

Ero adolescente quando ho cominciato, come tu immagino lo sia. Tu che con quel brutto flop hai rovinato una parete che non era un granché né aveva alcun valore – sempre di un bagno pubblico parliamo -, ma c’era stato uno studio e aveva un progetto alle spalle e qualcuno aveva pagato per rendere migliore.
Ancora ero un frichinacciu e il writing mi ha investito con violenza, allora, in quella metà degli anni Novanta; con la cattiveria che nutre chi vive in provincia, con la fame di chi non immagina ancora quanto sia vasto il mondo ma sa che di sicuro è fuori dalle mura del suo paese. Oggi avete internet, il mondo a portata di mano nel vostro smartphone, i quattro punti cardinali che si toccano tra un social e l’altro.
Oggi non è più ammessa l’ignoranza sul tema, basta chiedere a un motore di ricerca; io non sapevo niente di quel contesto che oggi chiamiamo writing e allora non avevamo nemmeno qualcuno che a noi pischellini dicesse il vero nome; non sapevamo un cazzo che non fosse quello che qualche rivista riportava o pochi audaci che l’avevano vissuto in città raccontavano.
Sapevamo però che questa cosa meritava tanto rispetto, tanto da spingerci ad affrontare situazioni forse più grandi di noi. Scrivere su un muro era rischioso e difficile, gli strumenti per farlo inadeguati, le fonti di ispirazione rarissime e consumate dai passaggi di mano. Il writing era una cosa fuori dal mondo per i più, il paese piccolo, pochissime le proprietà pubbliche idonee dove intervenire e ovviamente non concesse dalle istituzioni. L’accusa di vandalismo urlata dai titoli dei giornali locali, nonostante il massimo rispetto con cui abbiamo sempre trattato – e tutelato – i beni culturali storico artistici del mio medievale borgo nativo. Siamo riusciti, con il passare degli anni, addirittura a sdoganare il fenomeno e costruire qualcosa di serio, qualcosa che con gli spray in mano ha lasciato il segno.

Un writer è per sempre. Io non sono un calligrafo, sono un writer che scrive coi pennini. Non sono un ex writer, ancora mi sento parte di quel mondo. Nonostante abbia superato i quaranta ho ancora il marker in tasca e quando posso riprendo in mano gli spray. L’evoluzione della lettera è da allora il mio faro, l’alfabeto lo strumento di trasmissione di un messaggio, sia esso veicolato dal writing o dalla calligrafia. Avere potere sulla forma delle lettere, possibilità di modificarne la struttura, è emozionante, questo lo avrai capito anche tu, pur se fai ancora fatica a tradurlo; le lettere hanno un aspetto grafico divertente da manipolare, sono tentatrici, ma per farlo bisogna studiare, conoscere la cultura a cui appartengono, averne un rispetto profondo.

A volte mi chiedo se dietro le sporadiche nuove tag che compaiono nel deserto popolato di macerie della mia terra sfregiata ci siano questi pensieri. Se dietro quel flop che ha sporcato quella parete lavorata ci sia un’idea, un messaggio, una provocazione. Dietro le mie tracce non c’erano tanti perché, lo ammetto, ma tutti siamo stati ragazzi. So che lo sei anche tu, non voglio farti la predica né la morale, e ti assicuro che non ce l’ho con te per quello che hai fatto. Non potrei, non ci riesco a prendermela con chi afferra uno spray e scrive su un muro, qualsiasi cosa scriva, ovunque scriva, comunque scriva. Ti conoscessi, ti darei un coppino e ti insegnerei come tenere lo strumento come hanno fatto con me tanti anni fa. Come farei coi miei figli, come farei con i ragazzi con cui sto tutti i giorni a scuola, suppongo tuoi coetanei. Ma permettimi di rimproverarti come fossi figlio mio, che con gli anni ci potrei pure stare. Permettimi di dirti un paio di cose sul writing, sulla scrittura, sul rispetto.

Probabilmente, invecchiando, cambiano i punti di vista e si ha più voglia di trasmettere esperienze che di farsi largo a colpi di throw up. Crescerai anche tu, ti auguro di passare anche solo per sbaglio sulla mia stessa strada, e che sia lunga come la mia, e che non arrivi mai come la mia. L’ambizione di essere artisti, dopo i primi capelli bianchi, lascia spazio alla realtà di essere artigiani; ci si mette al servizio della comunicazione attraverso la scrittura e si lascia la ribellione di un bombing alle nuove generazioni. Non senza qualche malinconia, ma tant’è.

Giardino in movimento

Un paio di anni fa, in quell’edificio, abbiamo attuato una parte di un più vasto progetto di recupero e riqualifica dei giardini pubblici “Libero Bigiaretti” di Matelica. In questo intervento, chiamato Giardino in movimento e realizzato in collaborazione con Kindustria, ho dipinto i due edifici dei bagni pubblici dei giardini con una calligrafia espressiva e l’altra testuale, tra loro collegate graficamente e simbolicamente, come tronco e foglie di un albero. Un’interessante opera di calligrafia su muro, forse più importante per il valore simbolico che non per il lato estetico.

E la sai una cosa? Ti parlo di rispetto ma per fare questo pezzo anche io ho coperto quello di un altro writer. Sono passato sopra a un paio di throw up di Cone. Si chiamava Matteo Fausto, Cone; era un writer di Matelica, avevamo la stessa età quando, alla fine degli anni Novanta, ci trovammo a dipingere assieme, a scambiarci esperienze, fare amicizia e serata negli stessi locali con la stessa gente, nella bella atmosfera della Golden age. Non conoscerai quello che sono stati i Novanta per la disciplina che ti auguro di approfondire – il writing – se vuoi onorarla, ma ciò non significa che non potrai divertirti a dipingere, anzi. Solo che allora era tutto più genuino, era tutto più intenso, era tutto più significativo. Ecco perché quando Cone è morto, pochi anni dopo quei tempi, è stato come se avessimo perso un pezzo della nostra esperienza, dei nostri vent’anni.

Pensa, gli sono andato addirittura sopra. A Cone, all’amico, alla sua memoria. Ma l’ho fatto con rispetto e quel pezzo gliel’ho dedicato. Ma soprattutto, ho cercato di fare di meglio. E’ il ciclo naturale delle cose, la natura del tempo, per uno che invecchia un altro cresce, per uno che lascia uno comincia. Puoi non crederci, ma sotto sotto sono più felice di vedere la tua prima opera che triste per una delle mie che non c’è più, sparita sotto la tua brutta mano ancora inesperta, perché spero che ne farai altre e so che migliorerai. Da qualche parte bisogna partire. Se ti serve qualche dritta, sai dove trovarmi.

E comunque, potevi dipingere l’altro lato dell’edificio.
Peez.

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