Calligrafia e writing non sono due facce della stessa medaglia. Sono LA STESSA faccia della stessa medaglia

Io non dipingo quadri, scrivo lettere, e un esercito di writers è pronto per combattere. Se non ci credi guarda in giro, vedrai firme su ogni muro, un singolo frammento che compone un bboy fiero, percui se non ci stai la tua sconfitta sarà duplice, il concetto resta estraneo per te se non hai il codice.
Kaos One, 1996

Nella mia storia e per la mia formazione, calligrafia e writing sono legati da un rapporto di causa/effetto e non riesco a leggere le due attività separate una dall’altra. Non sono un ex writer, sono stato, sono e resto un writer. Così come calligrafia e writing non sono, per me, una la conseguenza – temporale o causale – dell’altra, ma in un certo senso la stessa cosa realizzata con strumenti diversi. Diversi nemmeno troppo, a pensarci bene.

Andiamo con ordine. Con l’estate i miei sensi accusano una fortissima dipendenza dall’odore pastello delle Montana Hardcore. Tante estati, in anni migliori, ho trascorso a cercare ed organizzare jam, ammaliato dall’atmosfera e dalle tecniche dei writer. Io, scarsissimo con gli spray fin dagli anni Novanta, ho retto poco con le bombole in mano, per mille motivi che vanno dalla mia mano indecente alle inclementi situazioni sociali che mi hanno spinto a desistere. Ma soprattutto, sono cresciuto. Con questo non voglio dire che c’è un’età per fare writing e una successiva per smettere, ma semplicemente che con gli anni sono diminuiti fotta, tempo, alcool, compagni, occasioni.

Fast Forward, calligraffiti e l’evoluzione dello stile. Una storia tra calligrafia e writing, dal bombing ai pennini ai calligraffiti

Ai corsi di calligrafia che organizzo per avvicinare alla bella scrittura a mano un pubblico spesso molto eterogeneo, mi viene chiesto quasi sempre da quanto tempo faccio calligrafia e come ho iniziato. Parto dalle origini, da un padre paleografo e dalla fortuna di avere libero accesso all’archivio storico di una città ricca di storia. Le riformanze consiliari così eleganti, i volumi pegamenacei rilegati, le illustrazioni sui capilettera miniati e le scritture da studiare erano i passatempi di un bambino che si annoiava in un ambiente poco divertente, ma ricco di quegli stimoli che senza saperlo ti permeano.
Qualla odiosa professoressa al Liceo che ci costrinse ad estenuanti esercizi di calligrafia per mesi, poiché non riusciva a leggere i nostri temi, il secondo capitolo della storia. Oggi mi sento di ringraziarla – sottovoce -, perché mi ha aperto le porte di un mondo meraviglioso già in età adolescenziale.

Il passo successivo è quello. Andiamo nel sottosuolo e ci restiamo a lungo. Gli anni sempre gli stessi, i Novanta; l’Hip Hop nella sua golden age, internet ancora confinato nelle mura del CERN. Anni che chi ha vissuto quella roba lì sa di che parlo. Il writing mi ha investito con la violenza dei miei quattordici anni, con la cattiveria della pancia della provincia, con la fame di chi sa che esiste un universo immenso ma sempre e comunque altrove.
Su parete l’esperienza che potevo fare era limitata, il paese piccolo, pochissime le proprietà pubbliche idonee dove intervenire e ovviamente non concesse dalle istituzioni. L’accusa di vandalismo urlata dai titoli dei giornali locali nonostante il massimo rispetto con cui ho sempre trattato – e tutelato – i beni culturali storico artistici del mio medievale borgo nativo.

La motivazione a continuare l’attività di writing venne meno e la carta si conquistò il ruolo di supporto preferito. Mi accorsi che passavo ore a scrivere tag su carta, a riempire quaderni di testi, a torcere penne per rendere il loro flow più scorrevole. Le matite da muratore a punta larga, i marker con punta a scalpello, gli evidenziatori piatti, i pennarelli spuntati mi attrassero per i tratti spessi e sottili, alternati, modulari che lasciavano sulla carta ruvida. I chiaroscuri nei raccordi, che l’assenza di caps professionali e di spray dignitosi (e, soprattutto, di una buona mano) mi impediva di realizzare su muro, nelle tag e nelle scritte sui fogli dei quaderni scolastici mi attrassero velocemente per l’immediatezza e la facilità di realizzazione. I risultati scolastici, conseguentemente e naturalmente, crollarono.
Sicuramente in quei momenti lì, sui banchi del liceo, calligrafia e writing si sono incontrate e si è formata la scelta di passare dal writing a qualcosa che calligrafia ancora non era ma non mancava tanto, sostituendo gli spray con le penne prima e i pennini poi, le vernici con i marker quindi i pennelli e gli acrilici. Il passaggio dal writing alla calligrafia arrivò senza quasi che me ne accorgessi.

Appesi gli spray al chiodo (in fondo a questa galleria gli scheletri nell’armadio), senza dispiacere alcuno, vennero i primi tentativi di evoluzione. Dal contatto con giovani leve del writing, con il loro talento, mutate le condizioni sociali attorno a noi, nacque il progetto fast forward. Ebbe vita lunga e gloriosa, ma i tempi cambiano, corrono, e le genti li seguono. Un peccato sia finita com’è finita, ma fast forward ha lasciato un’importante impronta, fin dalla prima edizione del 2010, nella storia settempedana e marchigiana del writing. Oltre che nella mia.

Per non sprecare l’esperienza e non abbandonare del tutto quell’ambiente, ho convertito la vecchia alla nuova passione: dai graffiti alla calligrafia, dal writing alla bella scrittura. Calligraffiti, fondendo le tecniche in un’idea ancora tutta da scrivere. Nel momento in cui qualsiasi contenuto può essere scritto, la calligrafia può renderlo migliore. Calligrafia e writing camminano assieme.
I trascorsi da writer fluiscono nella mia calligrafia come il presente da web designer nella promozione della medesima. Calligrafia è mettere la nostra vita nella scrittura, trasmettere ciò che siamo, ciò che viviamo, ciò che sentiamo, con la penna da noi al foglio. Solo trasmettendo noi stessi riusciremo a dare vita alla scrittura, altrimenti saremo sempre semplici copisti. Nulla può essere fuori luogo o incoerente con la calligrafia, se questa premessa è chiara.

calligrafia e writing

Galeotti furono i Novanta

Poi, ogni anno, torna l’estate e sento più che mai la mancanza dei rulli, delle murate, delle Montana; degli skaters, del boomcha, dei mixtape, di tutto il contesto che cresceva rigoglioso attorno alle jam. Dove ne trovo, mi presento con le mie pennellesse e mai mi hanno fatto sentire a disagio.
Ma l’Hip Hop non è solo estate. Ho attraversato momenti davvero brutti in adolescenza, forse come tutti forse più, e la Doppia H ha assunto i connotati di una fede, il writing quelli di un obiettivo, lo stile quelli di un’ancora cui aggrapparmi per non farmi trascinare via dagli elementi. In parte mi ha salvato, in parte ho dovuto farlo da solo, com’era giusto che fosse, e ci sono riuscito fino a un certo punto, ma sicuramente l’Hip Hop mi ha dato più di quanto abbia dato io a lui.

Un writer è per sempre. Io non sono un calligrafo, sono un writer che scrive coi pennini. Non sono un ex writer, ancora mi sento parte di quel mondo. Nonostante vada per i quaranta ho ancora il marker in tasca. L’evoluzione della lettera è ancora il mio faro, l’alfabeto lo strumento di trasmissione di un messaggio, sia esso veicolato dal writing o dalla calligrafia. Avere potere sulla forma delle lettere, possibilità di modificarne la struttura, è emozionante, prometeico addirittura, le lettere hanno un aspetto grafico divertente da manipolare, sono tentatrici, ma per farlo bisogna studiare, conoscere la cultura a cui appartengono, averne un rispetto profondo.
A volte mi chiedo se dietro le sporadiche nuove tag che compaiono nel deserto popolato di macerie della mia terra sfregiata ci siano questi pensieri. Dietro le mie non c’erano, lo ammetto, ma tutti siamo stati ragazzi. Forse, oggi, evolvere una lettera dovrebbe renderla più leggibile, quindi più funzionale a trasmettere il contenuto che vuole veicolare, che non farne un’opera d’arte. Qui il giro di boa.

Probabilmente, invecchiando, cambiano i punti di vista e si ha più voglia di trasmettere esperienze che di farsi largo a colpi di throw up. L’ambizione di essere artisti lascia spazio alla realtà di essere artigiani, per quanto comunque liberi; ci si mette al servizio della comunicazione attraverso la scrittura – suo mezzo (e messaggio, a volte) – e si lascia la ribellione di un lettering wholecar alle nuove generazioni. Non senza qualche malinconia, ma tant’è.
Di fronte ai pochi top to bottom che ancora incontro non reagisco però così pacatamente.

Lo sketch book, oggetto sacro di ogni writer

Lo sketch book è l’oggetto più sacro di ogni writer. Più del Grog, più delle Montana, più del NY skinny, più del super silver fat. Più della collezione di AL magazine. Questo è il solo luogo che accoglie calligrafia e writing silenziosamente, negli anni, che senza giudicare accompagna crescita e vita di ogni writer tra calligrafia e writing. Lo sketch book è protagonista assoluto nell’ideazione, documentazione e progettazione di ogni pezzo, prima, fonte inesauribile di ricordi, poi. Assume contemporaneamente i tratti di un diario, di un’agenda, di un album fotografico, di un memories book, di un raccoglitore, di uno scrapbook.

Il mio sketch book è obeso, ormai fuori misura, racconta un ventennio. Aprirlo, ogni volta, è un viaggio straordinario, profondo, lisergico: ricordi, sentimenti, progetti, amori, pensieri, visioni. Verdicchio, Negroni, Paccatéllo, Varnelli, Carzolà. L’hanno sfogliato in pochi dal 1997 a oggi, meno di cinque persone oltre me, e ormai che la memoria è stata assolta credo si possa pubblicarne qualche estratto.
Ho scattato in pagine a caso, senza volerlo con quell’atmosfera vintage che hanno le fotografie del millennio scorso, senza criteri se non quelli cronologici, selezionando ovviamente quel poco di pubblicabile per decenza e privacy, con tutte le connesse turbe tardoadolescenziali di un bboy piuttosto sfortunato.

Ogni pezzo ha una storia da raccontare, un ricordo, un volto, una musica. Lo considero un giusto tributo all’Hip Hop e ai miei vent’anni di writing e calligrafia e un’occasione per ricordare, a me anzitutto, che writer non si nasce, ma se da writer – anche se per poco – si vive, da writer si muore.

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