Font e calligrafia hanno rapporto intimo, vitale direi: l’uno senza l’altra – o l’una senza l’altra, sul genere della parola font non c’è accordo – non vivrebbero o non avrebbero avuto la lunga vita che prima la calligrafia poi i font, e oggi in parte viceversa, hanno avuto.
Quando diciamo font, nella maggioranza dei casi e nel nostro ambiente, intendiamo carattere tipografico. Quindi il font, in tipografia e informatica, è un insieme di caratteri per la stampa (stampatello è la scrittura a mano che richiama, con le lettere staccate, il carattere usato per la stampa) e per la lettura a monitor (carattere digitale, font installabile sulle nostre macchine e utilizzabile per la composizione).

IL font o LA font?

Il termine font deriva dal francese (fonte, derivato del verbo fondre “fondere”, che significa “fusione”), ma anche in inglese font significa fonditura. Ora, avendo l’italiano preso in prestito due lingue, ha creato un po’ di confusione: in inglese c’è la distinzione tra “typeface”, che rappresenta il singolo carattere tipografico, e “font”, che è invece un insieme di caratteri, ma in italiano con font tendiamo ad indicare entrambe le cose, sia il carattere che l’assortimento di tipi.

Nemmeno l’Accademia della Crusca dà una risposta univoca alla domanda, mancando accordo perfino tra i principali dizionari, ma suggerisce di parlare di font in ambito informatico utilizzando il genere maschile. Noi che studiamo anche la calligrafia e la stampa, useremo più il femminile per font che non il maschile, ma solo perché all’ambito informatico facciamo ancora fatica ad arrivare (in termini paleografici, almeno).

Poi, sulle dispute in punta di lingua italiana, le distinzioni ci porterebbero lontano. Dispute tra l’altro sempre interessantissime, sia per chi si appassiona alla linguistica sia per chi si domanda semplicemente se bella calligrafia si possa dire (sì, si può dire 🙂 ).

Dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, tecnica introdotta in Europa da Johannes Gutenberg nel 1455 (in Asia esisteva fin da quasi mezzo millennio prima, ma non con la lega coniata dal Gutenberg) fino a Google font da dire ce ne sarebbe molto. Tracciare anche solo per sommi capi la storia della stampa richiederebbe ben altri supporti e ottime pubblicazioni scientifiche lo hanno fatto.

Tra i tanti titoli, per chi volesse approfondire, consiglio giusto per farsi un’idea Il segno alfabetico di Aldo Novarese (Progresso grafico 1998); Breve storia della scrittura e del libro, di Fabio M. Bertolo, Paolo Cherubini, Giorgio Inglese, Luisa Miglio (Carocci 2004); La Forma Della Scrittura, di Salvatore Gregorietti e Emilia Vassale (Sylvestre Bonnard 2007); Sei proprio il mio typo. La vita segreta delle font, di Simon Garfield (Ponte alle Grazie 2012); Delle Lettere, di Ivana Tubaro (Hoepli 2016).

font e calligrafia

Font e calligrafia: gli scrittori italiani che scrivono in caratteri graziati e quelli che scrivono a mano

Questa parzialissima introduzione mi è servita per entrare nel tema che un articolo del quotidiano online il post ha portato all’attenzione del web: quali sono i font preferiti di importanti scrittori italiani contemporanei.
Tra gli autori selezionati dal post, la maggior parte utilizza solamente il Garamond o altri caratteri romani antichi, veneziani e transizionali, in quanto caratteri prevalentemente utilizzati nella stampa di libri in Italia. C’è anche chi scrive in Times New Roman e chi si accontenta di ciò che trova installato di default e sul suo editor di testo, sia esso un bastone o un monospazio.

Per Alessandro Baricco esiste solo il Garamond; Paolo Cognetti scrive a mano e al computer i suoi appunti prendono forma, più che venir ricopiati; Nicola Lagioia e Paolo Nori optano per il Times New Roman; Paolo Giordano passa al Baskerville ciò che scrive a mano. Ne trovate altri con le loro preferenze in questo articolo del post.

Calligrafia e tipografia, analogico e digitale

Mi interesso di tipografia da anni, da web designer (il web design è tipografia digitale, soprattutto) e da studioso di caratteri scritti a mano (la calligrafia è anche disegnare caratteri).
Cambiare il carattere di default degli editor di testo che mi capitano sotto mano (quei pochi che uso; il mio strumento principale di lavoro sono gli IDE) è tra le prime cose che faccio non appena li installo. Di serie, sui miei sistemi GNU/Linux, i programmi di realizzazione testi utilizzano il Liberation Serif; come tanti, anche per me esiste solo il Simoncini Garamond per scrittura e lettura. Non ci penso un attimo a scegliere questo sempreverde carattere della Linotype.

Parliamo del carattere con cui sono scritti quasi tutti i libri in Italia, capolavoro tipografico cinquecentesco francese, disegnato da Claude Garamond e rimaneggiato dal tipografo bolognese Francesco Simoncini nel 1958. Per me la perfetta continuità tra ciò che scrivo ciò che leggo.

Sul mio Libre Office anche col Palatino devo dire che mi sono trovato bene. Ma quanto il corsivo del Garamond mi richiami il Corsivo Italico Aldino, sintesi di font e calligrafia ai miei occhi perfetta, ancora nessun altro carattere ce l’ha fatta ad uguagliarlo.

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