Del Museo svizzero della carta, della scrittura e della stampa di Basilea non è da oggi che ne sento parlare. Vivendo a Fabriano, dove insiste uno dei più importanti musei del settore al mondo, il Museo della carta e della filigrana, l’ambiente un po’ si finisce per conoscerlo e, dopo le belle eccellenze italiane (penso a Mele, o alla valle delle cartiere di Toscolano Maderno, o Amalfi, per citare i più famosi), il museo di Basilea viene nominato spesso in questa ricognizione delle più importanti realtà museali su carta e scrittura.

Basilea e il Museo

Ho macinato qualche migliaio di chilometri, tra ottobre e novembre, per farmi un giro in Svizzera e, ovviamente, a Basilea visitare questo museo, il famoso Museo svizzero della carta, della scrittura e della stampa.
Basilea è un bestione di quasi duecentomila abitanti, al confine con Francia e Germania, che sorge lungo il Reno tra grattacieli, ciminiere, impianti industriali e strutture avveniristiche. Intorno al centro medievale – un medievale così distante dal nostro, senza una facciavista, intonacato di nuovo a colori pastello da sembrare quasi un outlet village – davvero poco di quel che uno si aspetta di tipico svizzero, oltre i prezzi. Ma non per questo Basilea è meno bella.
Sulla riva sinistra del fiume, tra canali e derivazioni, il quartiere di St. Alban si arrampica verso le mura tra fortificazioni medievali, dimore gotiche e barocche. A valle di un canale, adiacente al Reno, il Museo nazionale svizzero della carta e della scrittura con i suoi quattro piani sopra il rotore della pila a magli multipli: carta, scrittura, stampa e rilegatura, in un solo edificio, una gualchiera storica adibita a opificio ancora oggi.
basilea

Il Museo svizzero della carta, della scrittura e della stampa

Il museo è grande, diviso in più settori, e non in ogni area sono simpaticissimi con gli italiani o i bambini o entrambi. Siamo riusciti a farci cacciare da un laboratorio perché i piccoli litigavano e in biglietteria ci hanno fatto riordinare una pila di volantini che avevano spaginato, con relativo sguardo misto di disprezzo e commiserazione per questi soliti italiani.
Ci lavoreranno in trenta persone almeno, lì dentro, e comunque la maggior parte è disponibile, gentile e anche simpatica. Col lavoro che fanno (con quegli orari: dalle 11 alle 17), anche io avrei il sorriso sulle labbra.

La carta, storia e fabbricazione

Punto forte del museo, prima sala e punto di accesso, è ovviamente il reparto tini, là dove si produce la carta a mano. Una grande gualchiera medievale, l’enorme pila a magli multipli mossa dalle acque di un canale che costeggia il museo. In questo bell’ambiente, denso di stracci, colle, cotone, pisto, forme e casci, per me c’è poco di nuovo, ma è sempre piacevole ammirare una ricostruzione filologica ben riuscita delle antiche cartiere che da Fabriano, a partire dal 1264, impiantammo in tutta Europa nel momento in cui c’era esubero di cartai a casa nostra, e le dotammo di gambe che ancora oggi le portano lontano.
Una ragazza bellissima, con grembiule e gambali, dimostra come si fa la carta e fa provare i visitatori. Fanno una velina filigranata in maniera piuttosto rudimentale. Io che di carta ne ho fatta un po’, prendo le mani di mio figlio (grande) e con le sue impugno gli attrezzi per fare un foglio, declinando gentilmente l’aiuto della ragazza; le faccio capire che so come si fa, senza spiegarle troppo della mia origine. Mi guardano come un alieno quando mescolo il cotone nel pisto con la forma (smujino), quando alzo la forma per la versata (movimento fabrianese), quando ondeggio e ondulo il modulo per intrecciare le fibre.

Mi chiedo se conoscano l’origine della pila a magli che campeggia sulla cartiera, se raccontino ai visitatori come e perché nacque la colla animale, la storia delle filigrana in chiaro… Insomma, quello che raccontiamo alle rievocazioni storiche quando proponiamo la filiera storica del libro, che è un po’ la storia di Fabriano. Immagino proprio di sì, non sarebbe questa un’istituzione così importante e nota anche oltre confine, se non lo facesse. Non mi sono attardato troppo in questo piano, ad ascoltare o giocare con le attrazioni per i laboratori, né nelle sale attigue del medesimo piano, dove è illustrata la storia della carta e sono esposti gli strumenti che l’hanno costruita. Mi fermo solo un paio di minuti con la ragazza bellissima per chiederle di Klaus Peter Shäffel: uno tra i più importanti miniatori europei, ottimo calligrafo, che lavora qui; non oggi, purtroppo. Gli lascio tramite la ragazza i miei saluti e quelli di un bel pezzo della cultura del manoscritto italiana, e salgo ansioso al primo piano, dove si parla di scrittura.

Scrittura e calligrafia

Lo scriptorium del museo è come me lo aspettavo, come uno scriptorium dovrebbe essere. Assi di legno sul pavimento macchiate di inchiostro, vetrate opache, un paio di scrittoi dotati di calamai e calamo, penne di volatile, pennini tronchi e sottili a disposizione dei visitatori (e pezzetti di cartaccia su cui scrivere con un mallo di noce inadatto a quella superficie, sulla quale nemmeno una penna a sfera darebbe soddisfazioni). C’è anche una calligrafa a fare il suo lavoro in uno studiolo, tra penne e inchiostri.
Anche qui, ovviamente, percorsi dedicati alla storia della scrittura, della miniatura, alla realizzazione di inchiostri e colori naturali nei secoli; esposizioni di incunaboli e cinquecentine, nelle adiacenze dedicate a Gutenberg e alla tipografia, con torchi a vite e macchine da stampa moderne, le Heidelberg, torchi a stella, monotype e fotocomposizione.

Stampa e rilegatura

Salendo verso il tetto si avanza nei secoli, le tecniche di stampa moderne e contemporanee sono le protagoniste di questo piano. Un laboratorio pratico di composizione e impressione bello fisico, col torchio manuale e matrici inchiostrate, poi esperienze di incisione e litografia. In un angolo anche un’altra calligrafa realizza segnalibri e nomi ai visitatori (in un corsivo inglese che, per quanto elegante, ho trovato filologicamente fuori luogo). La storia della stampa, dalla Cina a Magonza a Venezia e oltre nelle bacheche di questa sezione che sfuma all’ultimo piano dedicato a arte del libro e rilegatura storica, dalle copertine alla cucitura dei fascicoli. Con le nostre mani, naturalmente.

Un museo a casa nostra come quello svizzero?

Un museo così articolato, completo, dovremmo averlo anche in Italia. Non ci vorrebbe molto, né ci mancherebbe nulla per realizzarlo, visto il nostro patrimonio cartario, calligrafico, tipografico, bibliografico. Penso alla carta e a Fabriano; penso all’Arrighi, al Cresci, prima ancora alla Beneventana, alla capitale lapidaria; penso a Manuzio, al Griffo, a Bodoni.
Penso a un museo del genere magari a Fabriano, unico caso in cui una struttura così – il Museo della carta e della filigrana – non ha sede in una vecchia cartiera (pur avendone a disposizione); dove c’è un percorso dedicato alla storia della scrittura, curato da James Clough, che dopo l’allestimento nel 2011 ha lasciato le macchine da stampa ad arrugginire tra la polvere in un chiostro chiuso a doppia mandata; dove la scrittura e la calligrafia, all’interno del museo, sono ignorate; dove la filiera storica del libro è un’idea che il visitatore deve farsi da solo.

Se guardo il successo – e la qualità, ancora prima – del Museo svizzero della carta, della scrittura e della stampa di Basilea, e il fatto che ci sono partito dalle Marche per andarlo a vedere, non posso nascondere l’amarezza per come trattiamo il tanto che abbiamo, in confronto alla valorizzazione che chi ha molto meno di noi dedica al suo.

Copyleft (L) Bella Scrittura 2024.
All rights reversed; by-nc-nd 3.0. Condividi con consapevolezza.